Intervistata da Maurizio Belpietro nel corso de “Il Giorno de La Verità”, la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha risposto circa le critiche delle opposizioni sul dl sicurezza.
La “compressione delle libertà” è un’accusa che sovente viene posta al governo ultimamente, anche sul caso dei contributi pubblici al cinema, su cui pure Meloni non ha lesinato attacchi agli attori che hanno criticato l’esecutivo.
Dl Sicurezza: compressione delle libertà?
“Allora, il decreto sicurezza è un decreto che prevede, diciamo, un inasprimento delle pene per chi insulta o aggredisce le forze dell’ordine. Prevede la possibilità per le forze dell’ordine e i militari che sono sotto indagine per questioni inerenti al loro servizio di avere una tutela legale. Prevede una stretta contro i borseggi, una stretta contro la possibilità che si mandino i minori a fare accattonaggio, una stretta contro le truffe agli anziani, prevede un’arma di estrema celerità per sgomberare le case occupate e introduce norme che inaspriscono le pene per chi, per manifestare, blocca le strade e le ferrovie.
Io non considero questo un impedimento a manifestare, perché si può tranquillamente manifestare senza ledere i diritti degli altri. Se io per manifestare devo bloccare un treno o una strada, impedendo alle persone di andare al lavoro o a scuola, immaginatevi qualcuno che deve andare a dare l’esame all’università e non può arrivare perché la metro è bloccata da qualcuno che manifesta: quella persona può perfettamente manifestare senza impedire agli altri di fare ciò che devono fare.
Parlano di autoritarismo. L’autoritarismo è una contrazione delle libertà. Quali sarebbero queste libertà che staremmo comprimendo? La libertà di occupare le case? La libertà di truffare gli anziani? Se la sinistra considera queste libertà, io sono contenta e fiera di stare dall’altra parte, perché non le considero libertà. E penso che la prima libertà dei cittadini sia avere una sicurezza garantita dallo Stato, uno Stato che riconosce le persone per bene da chi per bene non è, e che sia fermo verso chi non è per bene. Questa è la cosa più banale del mondo, ok? Quindi, per me possono fare tutti i film che vogliono, sono fiera di queste norme e penso che ce ne servano anche altre”.
“Si comportano come un clan”
“Noi abbiamo fatto delle norme, secondo me di buon senso, per impedire gli sprechi. L’abbiamo fatto con il Superbonus, col reddito di cittadinanza, e su tutto ciò su cui, secondo noi, ci sono soldi dei cittadini. Perché noi spendiamo soldi delle tasse degli italiani e, siccome i soldi che spendiamo non sono nostri ma sono soldi degli italiani, secondo me devono essere utilizzati in modo serio. Penso che non fosse serio consentire produzioni che prendevano contributi pubblici milionari e poi al botteghino facevano qualche decina di spettatori. L’ultimo caso, lei ne ha raccontati a migliaia e ne conosce molti più di me, è quello di N-ego: questo ultimo film ha ricevuto 500.000 euro di contributo pubblico e attualmente ha incassato solo 2.000 euro al botteghino. Io penso che questa sia una cosa che non si può fare. Ci è costato circa 7 miliardi di euro negli anni, e se racconto ai cittadini cosa si può fare con 7 miliardi di euro, chiaramente capite che non possiamo continuare a permetterlo.
Dopodiché, non mi stupisce che chi ha beneficiato di questi lauti contributi contesti il governo, né che si nasconda dietro la scusa “noi vogliamo tappare la bocca”. Guardi, ho sentito che ci è stata mossa l’accusa che “si comportano come un clan”. Ora, su questa cosa voglio rispondere: quanti attori di destra conoscete?
Noi praticamente non abbiamo notizia di esponenti di rilievo del mondo del cinema che non si dichiarino di sinistra, ma questo è statisticamente impossibile, giusto? Cioè, è improbabile che in un’Italia in cui la maggioranza degli italiani vota centrodestra non esistano esponenti dello spettacolo che votano centrodestra. Quindi la risposta è un’altra: gli esponenti del mondo dello spettacolo che non sono di sinistra non dichiarano le loro preferenze politiche. Perché? Perché altrimenti non lavorano.
E allora, a chi dice che noi ci comportiamo come un clan, devo rispondere che per me un attore, quando è bravo, lavora e non me ne importa cosa vota. Qualcun altro invece, che non ha fatto lavorare la gente se non votava come dicevano loro, questo sì è un comportamento tipico in Italia. Io sono una persona che crede nella libertà di espressione del proprio voto, nella libertà di esprimere le proprie idee, ma ciò non toglie che non butterò i soldi dei cittadini per pagare cose che non meritano di essere pagate.
Fermo restando che noi stiamo lavorando per garantire invece alle produzioni serie, in un settore che è fondamentale per l’Italia, di poter avere i contributi necessari e di riceverli anche in tempi certi. Faremo come sempre una distinzione tra le cose buone e quelle che, secondo noi, sono meno buone. Sono accadute tre cose riguardo al tax credit che sono oggettivamente folli e che stiamo aggiustando. Mi sarei aspettata che tutti gli esponenti del mondo del cinema dicessero “grazie, bravi”, anzi, “se volete, diamo una mano”, perché effettivamente ci sono delle storture che non aiutano il cinema italiano a crescere. Non è andata così, ma ciò non toglie che continueremo a fare questo lavoro”.
La “madre di tutte le riforme”, secondo Giorgia Meloni, è la stabilità. Non il premierato, non la separazione delle carriere, non l’autonomia differenziata. A spiegarlo è stata la stessa presidente del Consiglio alla festa del quotidiano La Verità. E forse, proprio in nome di quella stabilità, si può leggere la sorprendente apertura di Fratelli d’Italia alla possibilità di discutere il terzo mandato per i governatori regionali. Un tema finora tabù per il partito della premier, che ha sempre votato contro le iniziative in tal senso, allineandosi a Forza Italia e al Pd per fermare le ambizioni di Luca Zaia in Veneto e di Maurizio Fugatti in Trentino.
Ora, però, il vento sembra cambiato. A indicare la nuova direzione è stato Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia e fedelissimo della premier: «Non c’è preclusione ideologica sul terzo mandato. Se le Regioni presenteranno un documento unitario, si potrà valutare. Non lo facciamo per un singolo governatore, ma per rispetto istituzionale». Una frase che, letta tra le righe, sconfessa mesi di linea dura. Una giravolta politica evidente, che apre un nuovo scenario a pochi mesi da tornate elettorali decisive in Regioni chiave come Campania, Puglia e Toscana.
A esultare è la Lega, che da tempo spinge per il superamento del limite dei due mandati consecutivi. Matteo Salvini non si nasconde: «Siamo pronti a discuterne subito, se si può scegliere un bravo presidente più volte, perché impedirlo?». Il leader del Carroccio preme per fare in fretta, anche in vista della definizione delle candidature autunnali. Il vero obiettivo? La conferma di Zaia in Veneto e la gestione della crisi in Friuli-Venezia Giulia, dove Massimiliano Fedriga potrebbe volersi ricandidare nel 2028.
Ma l’apertura meloniana non entusiasma tutti nella maggioranza. Forza Italia è fredda, se non contraria. Il capogruppo Maurizio Gasparri ha già detto di voler sentire Donzelli per “chiarimenti”. Anche Noi Moderati, con Maurizio Lupi, si dichiara contraria ma disponibile al confronto. E anche dentro Fratelli d’Italia il dossier divide: da una parte chi vuole difendere la coerenza del partito, dall’altra chi preferisce privilegiare l’unità della coalizione.
Se la Lega festeggia, nel campo dell’opposizione la mossa di Fratelli d’Italia non passa inosservata. Due voci, in particolare, hanno colto con lucidità il significato politico della virata meloniana: Vincenzo De Luca e Matteo Renzi.
Il presidente della Regione Campania, che sarebbe il primo beneficiario della riforma insieme a Zaia, ha definito l’apertura “una prova di intelligenza politica” da parte della premier. Secondo De Luca, Meloni ha capito che lasciare aperto un fronte interno alla coalizione, soprattutto con la Lega, sarebbe stato controproducente. «Se decidono, la fanno domani mattina. La democrazia di Westminster è saltata: si fa la legge, si mette la fiducia e chi si è visto, si è visto», ha detto con il suo consueto sarcasmo. Ma dietro l’ironia, c’è un’analisi lucida: la premier ha scelto la via della sopravvivenza politica, a costo di sconfessare sé stessa. Il governatore campano non ha dubbi: la premier in questo modo si blinda alla poltrona di Palazzo Chigi e quindi tiene buona la Lega, alla quale peraltro spera di strappare, se dovessero rimanere gli attuali rapporti di forza, la guida della Lombardia che tornerà al voto nel 2028.
Matteo Renzi, invece, punta il dito contro quella che definisce una mossa opportunistica: «Meloni apre al terzo mandato per convenienza personale. Sperando di creare caos nel centrosinistra in Campania e chiudere la partita con la Lega su Zaia. Non ha valori, solo convenienze». Un’accusa pesante, ma che trova riscontro nella preoccupazione crescente tra le fila del Pd, dove si lavora da mesi a un’uscita morbida da De Luca senza perdere il suo consenso. Dunque un caos calcolato: destabilizzare il centrosinistra.
Il terzo mandato rischia dunque di diventare l’ennesimo elemento destabilizzante per il campo largo. Infatti in Campania una conferma di De Luca stopperebbe gli attuali tentativi di ricostruzione di un’alleanza alternativa al centrodestra.
Ma c’è di più: Meloni, come ha dichiarato lei stessa, non considera centrali le prossime regionali, preferendo concentrarsi sui temi internazionali. Un segnale che lascia intendere come la premier voglia mantenere il controllo del quadro politico senza esporsi in prima persona, lasciando che siano gli altri – Lega, FI, opposizioni – a contendersi l’arena regionale.
In questo gioco, l’apertura sul terzo mandato è la pedina perfetta: spiazza gli avversari, confonde gli alleati, rimescola le carte. Il tutto, mentre la premier si prepara a un’estate fatta di temi divisivi, come la spesa militare (con Crosetto che punta al 3,5% del Pil entro il 2030) e la campagna sulla sicurezza, già lanciata da FdI.
Non va infine dimenticato il fronte parallelo dei sindaci. Se si apre al terzo mandato per i governatori, perché escludere i primi cittadini dei Comuni sopra i 15mila abitanti? La domanda, posta da Clemente Mastella (sindaco di Benevento), rischia di diventare un’altra grana per il governo. Mastella chiede una convocazione straordinaria dell’Anci, denunciando una “disparità istituzionale” che, se confermata, rischia di aprire un altro fronte, questa volta con le autonomie locali.
Viste queste complicazioni, non è detto che l’operazione terzo mandato vada in porto. La Conferenza delle Regioni potrebbe non trovare un’intesa. Il Parlamento potrebbe impantanarsi. I contrasti nella maggioranza potrebbero esplodere. Ma una cosa è certa: Giorgia Meloni ha deciso di giocare d’anticipo. E per farlo, è pronta a sacrificare anche uno dei dogmi della sua narrazione: quello del limite al potere.