A poche ore dallo scontro con il presidente americano il patron di Tesla ha pubblicato un sondaggio su X in cui ha chiesto ai suoi followers se fosse il momento di “creare un nuovo partito politico in America che rappresenti realmente l’80% della popolazione di mezzo”. Al sondaggio hanno votato circa 6 milioni di utenti: di questi l’80,4% ha risposto sì, il 19,6% no. Il miliardario ha suggerito il nome del nuovo partito, “The America Party”, il “Partito America”: “Il popolo ha parlato. In America serve un nuovo partito politico che rappresenti l’80% della popolazione! E esattamente l’80% delle persone è d’accordo”.
La separazione tra Musk con il presidente americano pare ormai definitiva: lo scontro tra i due è nato dopo le critiche del patron di Tesla alla legge di bilancio varata dall’amministrazione americana ed è culminata con la minaccia di Trump di stracciare i suoi contratti governativi e l’accusa da parte di Musk secondo cui l’inquilino della Casa Bianca sarebbe all’interno degli ‘Epstein files’.
Il presidente americano non ha ancora deciso se togliere a Musk i fondi di cui le sue aziende beneficiano dal governo. “Riesamineremo tutto, sono un sacco di soldi. Sono un sacco di sussidi, dobbiamo dare un’occhiata e faremo quello che è giusto per lui e per il Paese, onestamente non ci ho pensato, sono stato impegnato ad occuparmi di Russia, Cina e Iran’’.
Intanto, diversi esponenti della Silicon Valley attualmente presenti nel governo statunitense temono di essere tagliati fuori dopo la furiosa lite tra i due. Secondo quanto scrive il Financial Times infatti, la decisione di Trump di silurare il miliardario del settore tecnologico Jared Isaacman, stretto alleato di Musk, a capo della NASA segnerebbe l’inizio di un'”epurazione”. Stando a quanto rivelato da una fonte al Ft, anche l’imprenditore David Sacks, il consigliere politico Sriram Krishnan e Michael Grimes, ex banchiere di Musk e attualmente funzionario presso il Dipartimento del Commercio, sarebbero a rischio.
Dopo l’annuncio di voler lanciare “un terzo partito” che “rappresenti l’80% della popolazione”, il proprietario di Tesla ha cancellato su X il post in cui collegava Trump alla vicenda di Jeffrey Epstein. Nel frattempo, il presidente americano ha ribadito di non stare pensando a Musk in questo momento e di augurargli “il meglio”. Il tycoon ha comunque annunciato che “il lavoro del Doge non è finito” e che “ne stiamo prendendo il controllo”
Nel frattempo, il patron di SpaceX ha cancellato da X il post esplosivo in cui, durante il litigio con il tycoon, ha collegato il presidente alla vicenda di Jeffrey Epstein, il finanziere che si è suicidato nel 2019 nel carcere newyorkese dove era rinchiuso con l’accusa di aver sfruttato sessualmente decine di minorenni. “E’ arrivato il momento di far esplodere la vera bomba: Trump è negli Epstein files, questa è la vera ragione per cui non sono stati pubblicati”, si leggeva nel post di giovedì, in cui si faceva riferimento alle migliaia di documenti, video ed altro materiale raccolto dagli inquirenti a carico di Epstein. Poco dopo il miliardario aveva ribadito l’accusa, affermando, in un altro post che “la verità sarebbe venuta fuori”. Ma poi entrambi i tweet sono stati cancellati.
Il movimento Maga ha chiesto la pubblicazione per smascherare le figure pubbliche coinvolte nei viaggi che Epstein organizzava nella sua villa nelle Virgin Islands, con feste a cui partecipavano ragazze minorenni, puntando il dito in particolare contro esponenti democratici e celebrità di Hollywood. Trump conosceva ed ha avuto occasione di incontrare Epstein ma ha negato di essere mai andato a Little Saint James.
Intanto è emerso come lo scontro con il presidente degli Stati Uniti sia costato a Musk, in quanto azionista di Tesla, 34 miliardi di dollari: è quanto l’ex consigliere speciale della Casa Bianca avrebbe perso a Wall Street nelle scorse ore dopo il crollo del titolo in seguito alla lite pubblica. Le azioni hanno perso più del 14%, bruciando un valore complessivo di 150 miliardi. Si tratta della più ingente perdita in un giorno nella storia della compagnia di veicoli elettrici. Musk resta, comunque, l’uomo più ricco al mondo con un patrimonio personale di 334 miliardi di dollari.
La lite tra Trump e Musk è rapidamente degenerata, con post sulle rispettive piattaforme social che evocavano la messa in stato d’accusa di Trump e la sua sostituzione con il vicepresidente J.D. Vance. Musk ha anche avvertito che i dazi finiranno per causare una recessione nella seconda metà dell’anno.
C’è qualcosa che somiglia a un dissidio, ma non lo è fino in fondo. Perché quando Elon Musk e Donald Trump si lanciano frecciate, il suono è quello di una schermaglia tra due titani che sanno di dover tornare presto al tavolo da gioco. L’ultimo a parlare è stato Steve Bannon, che di Trump conosce i nervi e le manie. In un’intervista a Politico, ha spiegato con la consueta schiettezza: «È una vendetta personale contro il presidente degli Stati Uniti. Elon pensava che bastasse staccare un assegno a Trump e prima o poi ne avrebbe ricavato qualcosa. Trump non funziona così, è il politico meno influenzabile dai donatori della storia, non gliene frega niente. La prima cosa da capire è che Musk è un uomo d’affari».
Trump, ora in pieno controllo del partito repubblicano, guarda alle elezioni di medio termine come a un banco di prova decisivo. Serviranno soldi, piattaforme e narrazioni. E chi se non Elon Musk può offrire tutte e tre le cose? Negli ultimi mesi, Musk ha ventilato l’idea di partecipare alle elezioni di metà mandato, ma ha anche affermato di volersi ritirare dalle spese politiche.
I suoi rapporti con Peter Thiel e la Silicon Valley conservatrice inoltre sono ancora vivi. E è ancora riconosciuto come eroe dalla destra di mezzo mondo per aver combattuto contro la censura digitale. Anche dallo staff di Washington arrivano aperture. Soprattutto, nessuno tra i repubblicani è pronto a schierarsi per alimentare divisioni. Anche, Bill Ackman, gestore di fondi speculativi e con un patrimonio da 9,3 miliardi secondo Forbes, ha lanciato il monito: «Supporto entrambi, dovrebbero fare pace per il bene del nostro grande Paese». Non c’è voluto molto prima che Musk rispondesse: «Non hai torto». Un modo elegante per dire al mondo che lo scontro è contenuto e controllato. Che serve a entrambi tenere viva l’immagine del battitore libero – Musk – e quella del leader inamovibile – Trump – senza trasformare le differenze in un divorzio.
Il punto in cui divergono, è la base a cui si rivolgono. Musk parla alla tecnodestra libertaria, fatta di innovatori, startupper e cultori del mercato assoluto. Trump, invece, ha ricostruito la destra sociale: ha spostato il cuore del partito repubblicano verso i ceti medio-bassi, conquistando consensi in segmenti che un tempo erano considerati perduti — giovani, periferie, minoranze. E oggi, è questa destra a comandare.
Quello tra Trump e Musk è un teatrino ben controllato, ognuno ha bisogno dell’altro, ma entrambi vogliono che sia l’altro a doverlo ammettere per primo. Trump ha bisogno della potenza mediatica e finanziaria di Musk. Il signor Tesla ha bisogno dell’America trumpiana per proteggere i suoi interessi da burocrazie, woke capitalism e regolatori democratici. La collaborazione è inevitabile, tutto il resto è solo tensione narrativa, nulla di più…