Antoniu Martin, storico e giornalista
C’è una voce che, in un’Italia troppo spesso distratta, ha il coraggio di alzarsi con fermezza e lucidità: è quella di Salvatore Sardisco, Coordinatore Nazionale del Coordinamento Polizia Penitenziaria della FSI-USAE. Con una lettera indirizzata ai vertici delle Istituzioni – dal Ministro della Giustizia al Capo del DAP – Sardisco ha messo nero su bianco ciò che da troppo tempo si sussurra nei corridoi delle carceri italiane: una crisi profonda, strutturale e ormai insostenibile.Non è una lettera come tante. È un atto di responsabilità, un appello vibrante, a tratti drammatico, ma mai retorico. La forza delle parole di Sardisco risiede nella verità che portano: una verità fatta di carenze croniche di personale, di strutture fatiscenti, di dignità calpestata — tanto per gli agenti quanto per i detenuti.Sardisco parla con passione, ma anche con l’autorevolezza di chi conosce bene il terreno su cui opera. La sua analisi è puntuale: denuncia la drammatica carenza di organico della Polizia Penitenziaria, che si traduce in turni massacranti, in un carico di responsabilità insostenibile, in un logoramento psicofisico che non fa notizia, ma distrugge lentamente chi indossa la divisa.E non si ferma qui. Il Coordinatore Nazionale richiama con forza l’attenzione sullo stato di abbandono delle strutture penitenziarie: celle sovraffollate, impianti obsoleti, ambienti insalubri che cancellano ogni tentativo di rieducazione. Come si può parlare di reinserimento sociale, si chiede implicitamente Sardisco, quando mancano gli spazi, i mezzi, e soprattutto le persone – educatori, psicologi, mediatori – che dovrebbero dare un senso concreto all’articolo 27 della nostra Costituzione?Con lucidità, ma anche con visione, Sardisco indica tre priorità chiare e imprescindibili: un piano straordinario di assunzioni, l’ammodernamento radicale delle strutture, il rafforzamento dei percorsi rieducativi. È un programma serio, credibile, improntato non solo alla tutela degli agenti ma anche alla costruzione di un carcere più giusto, dove la pena non sia solo privazione, ma anche opportunità.Non c’è rabbia sterile nelle parole di Sardisco. C’è una dignità profonda. C’è la consapevolezza che la sicurezza e i diritti umani non sono in conflitto, ma devono camminare insieme. E c’è, soprattutto, un forte senso dello Stato, della legalità, della giustizia: valori che lui non solo invoca, ma incarna.In un tempo in cui il dibattito pubblico spesso dimentica i più invisibili tra gli invisibili — gli agenti penitenziari, i detenuti, chi lavora nelle carceri — la voce di Sardisco risuona come un faro. Non si può più far finta di niente. È tempo che le Istituzioni ascoltino, agiscano, rispondano. Perché chi serve lo Stato in silenzio, con disciplina e onore, merita rispetto. E, come ci ricorda Salvatore Sardisco, anche un futuro migliore.