La vita intima di chi resiste

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Nell’intima sala di LOTTO UNICO, in via Lanusei 3 a Roma, sabato 17 maggio è andato in scena ‘La vita resistente’, spettacolo in forma di studio scritto e interpretato da Marcela Serli e Andrea Collavino.

Lo spettacolo inizia prima dell’inizio: i due attori — lei in bianco, lui in giacca e camicia — accolgono il pubblico scambiando qualche parola, creando subito un clima di confidenza. È una dichiarazione di intenti: quello che vedremo sarà un dialogo autentico, sincero, dove l’autenticità diventa la parola d’ordine.

In scena solo due sedie e i due interpreti, pronti a raccontare un vissuto personale e profondo, scandito da momenti rituali. Il punto di partenza è La scomparsa dei riti del filosofo Byung-Chul Han, ma il cuore dello spettacolo è la narrazione autobiografica: gli amori giovanili, i rapporti complessi con i genitori, la morte, il dolore, la memoria.

Marcela e Andrea, entrambi con una lunga esperienza teatrale alle spalle, scelgono questa volta di condividere il palco come si condivide un rito. Evocano ricordi privati e universali: il soffio sulle candeline al buio, la veglia silenziosa accanto a una persona cara, lo scambio delle fedi, l’inno ai mondiali, le manifestazioni di piazza, l’addio al celibato.

Tutto questo si intreccia in uno spettacolo dal ritmo incalzante, dove i ruoli e i personaggi si mescolano continuamente, in un gioco di dentro e fuori la finzione che sa commuovere e divertire. Il legame con il pubblico è diretto, disarmante, e crea un senso di vicinanza che fa sentire gli spettatori privilegiati testimoni di ricordi intimi, nei quali possono riconoscersi.

Le voci di Marcela e Andrea arrivano dall’anima, attraversando momenti di ironia e altri di autentica commozione. Lei è una grande interprete della propria storia, che restituisce con uno sguardo benevolo, mai scontato. Lui, con leggerezza e verità, dà forma e corpo al racconto, dimostrando una sensibilità rara.

Uno spettacolo che, come i riti di cui parla, si ricrea ogni sera in modo diverso. Una tragicommedia libera, viva, capace di far male ma anche di consolare.

Come scrive Byung-Chul Han:

“I riti e le cerimonie sono azioni umane genuine capaci di far apparire la vita in chiave festosa e magica, mentre la loro scomparsa la dissacra e la profana, rendendola mera sopravvivenza. Da un reincanto del mondo, perciò, ci si potrebbe aspettare un’energia curativa in grado di contrastare il narcisismo collettivo.”

Angela Giassi

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