La geopolitica dell’UE pecca di integrazione sulle politiche sulla sicurezza

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L’Unione Europea è stata attuata in un’era, quella della globalizzazione, dove l’economia è il libero scambio avevano soppiantato di fatto la sicurezza. L’Europa nasce intorno al mercato unico a protezione esclusiva dello stesso, mentre le politiche industriali, fiscali, militari e di sicurezza sono rimaste prerogativa dei singoli stati membri. In breve mercato su scala europea, ma sicurezza a livello nazionale. Negli ultimi 30 anni le cosiddette democrazie avanzate hanno spostato gran parte della loro produzione verso paesi meno sviluppati e spesso e autocratici che hanno putito, in questo modo, rafforzare il proprio tessuto industriale. Così facendo, naturalmente si è creata un interdipendenza tra economie democratiche ed autocratiche. Ma agli inizi del nuovo millennio la Russia e la Cina che avevano beneficiato della delocalizzazione delle aziende europee verso i propri territori, hanno deciso di dare priorità alla sicurezza nazionale rispetto al libero mercato, perché, a loro dire, questo modello occidentale costituiva una minaccia per i loro Paesi. I singoli Paesi dell’Ue non hanno capito subito la strategia messa in campo da Mosca e Pechino, ma se ne sono accorti dopo anni a seguito della pandemia e del conflitto russo-ucraino, che hanno messo in evidenza la fragilità delle filiere globali, non solo, ma anche la vulnerabilità europea in termini sicurezza militare e di sviluppo delle energie alternative. Nel frattempo le regole in tema di commercio e scambi saltavano e un colosso come la Cina vara misure protezionistiche del proprio mercato e finanzia lo sviluppo di aziende legate allo Stato che si muovono all’estero con le regole del capitalismo occidentale. Quindi si sono creati giganti globali in settori strategici, quali la tecnologia, la logistica e le costruzioni, che hanno invaso anche i mercati europei minando letteralmente la competitività delle aziende nazionali di livello. L’espandersi del dragone cinese è propedeutica all’autonomia tecnologica . In Occidente gli unici in grado di rispondere alla sfida proveniente dalla Cina sono stati gli Stati Uniti, ma anche loro in ritardo di qualche anno, che hanno investito più di 600 miliardi di dollari per attirare le aziende anche estere sul proprio territorio al fine di produrre tecnologie e microchip e scrollarsi così dalla dipendenza della Cina. In Europa la situazione è bloccata perché i singoli Stati non rinuncerebbero mai ai loro operatori nazionali soprattutto nel settore della sicurezza nazionale. Per non parlare, poi, della disconnessione tra il mercato unico e le politiche industriali nazionali, che già di per sè molto frammentate hanno accentuato la dipendenza dai Paesi extra UE. Infine l’eccessiva legislazione e l’asfissia della burocrazia di Bruxelles frenano l’innovazione e lo sviluppo dei singoli Stati e dell’Unione in generale. Oggi l’UE deve rimodellarsi su un’economia e una sicurezza di scala europea. Quindi occorre un’integrazione tra politiche industriali, militari e sulla sicurezza per poter competere sul mercato globale e nello stesso tempo mettere in sicurezza i propri confini.

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