Eurispes e l’economia parallela dei falsi: anatomia di un fenomeno globale da 467 miliardi di dollari

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Nella vetrina di un elegante centro commerciale, una borsa di lusso attira l’attenzione dei passanti. A pochi chilometri di distanza, in un’officina di periferia, un meccanico installa un airbag su un’auto in riparazione. Altrove, su una farmacia online, un cliente finalizza l’acquisto di farmaci che promettono la stessa efficacia di quelli di marca, ma a un prezzo sorprendentemente basso. Tre scenari diversi, apparentemente scollegati, accomunati da un’inquietante verità: ciascuno di essi potrebbe coinvolgere prodotti contraffatti, mimetizzati così abilmente da ingannare non solo consumatori inesperti, ma talvolta anche professionisti. Sotto la superficie del commercio globale si estende un’economia parallela, sofisticata e ramificata che sfrutta le stesse vie della legalità: porti, piattaforme e-commerce, logistica just-in-time. Un ecosistema complesso alimentato da reti criminali transnazionali che hanno sviluppato tecniche di produzione e distribuzione sempre più raffinate, capaci di infiltrarsi nelle legittime catene di approvvigionamento insinuandosi fra le zone d’ombra della digitalizzazione commerciale e fra le pieghe delle normative frammentate. Alla radice di questo fenomeno non c’è solo la ricerca del profitto facile, ma anche le asimmetrie globali nei sistemi normativi, le disparità economiche tra paesi, e la crescente domanda di beni di marca a prezzi accessibili. Per il consumatore medio, la contraffazione può apparire come un crimine senza vittime, un semplice escamotage per accedere a prodotti altrimenti inaccessibili. Ma dietro questa apparente innocuità si cela una realtà ben più complessa e grave: sfruttamento lavorativo, evasione fiscale, finanziamento di attività criminali e, nei casi più gravi, minacce concrete alla salute e alla sicurezza pubblica.

Per il consumatore medio la contraffazione può apparire come un crimine senza vittime, ma cela una realtà più complessa e grave.

Il rapporto Mapping Global Trade in Fakes 2025, frutto della collaborazione tra l’OCSE e l’Ufficio dell’Unione europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO), offre un’analisi approfondita del fenomeno. Lo studio delinea non solo l’estensione quantitativa del problema, ma anche le sue caratteristiche qualitative, le nuove strategie adottate dalle reti criminali e le sfide emergenti che le autorità di regolamentazione si trovano ad affrontare in un contesto post-pandemico segnato da crescenti tensioni geopolitiche. Stando ai dati più recenti, nel 2021 il valore globale del commercio di merci contraffatte e piratate ha raggiunto la cifra impressionante di 467 miliardi di dollari, rappresentando il 2,3% del commercio mondiale. Nonostante una temporanea flessione durante la pandemia, quando nel 2020 il valore era sceso a circa 320 miliardi di dollari (2% del commercio globale), il fenomeno ha mostrato una rapida ripresa, evidenziando la resilienza delle reti criminali coinvolte. La Cina continua a mantenere il suo status di principale fonte di merci contraffatte, rappresentando il 45% di tutti i sequestri segnalati e il 47% del valore totale delle merci sequestrate, seguita da Hong Kong (Cina) con una quota del 27%. Tuttavia, le rotte tradizionali stanno subendo trasformazioni che confermano la straordinaria capacità delle reti criminali di adattarsi ai cambiamenti del mercato globale e sfruttare le crisi a proprio vantaggio.

Nel 2021 il valore globale del commercio di prodotti contraffatti ha raggiunto i 467 miliardi di dollari.

Una delle tendenze più interessanti evidenziate dagli esperti del settore e dalle autorità doganali è l’aumento dell’attività lungo il fiume Danubio, che grazie al suo status di via navigabile internazionale offre minori restrizioni ai movimenti transfrontalieri. Questo cambiamento rispetto alle rotte tradizionali è tutt’altro che casuale. Durante la pandemia, le chiusure delle frontiere hanno spinto i trafficanti a esplorare percorsi alternativi, alcuni dei quali si sono rivelati così efficaci da essere mantenuti anche dopo la riapertura dei confini; parallelamente, le tensioni geopolitiche, come il conflitto in Ucraina, hanno contribuito a modificare ulteriormente la geografia del commercio illecito. Il report mette in luce un’ulteriore novità nei modelli organizzativi: la “localizzazione” dell’assemblaggio dei falsi, che rappresenta una delle innovazioni più significative nel modus operandi dei contraffattori. Anziché trasportare prodotti finiti, che potrebbero essere facilmente identificati ai controlli doganali, i trafficanti importano componenti o materie prime separatamente e procedono all’assemblaggio e all’etichettatura nei pressi – o addirittura all’interno – dei mercati di destinazione, riducendo la probabilità di sequestro e sfruttando le falle nei controlli doganali. Circa il 20% di tutti i sequestri riguarda infatti materiali di imballaggio, etichette o componenti di autenticazione come ologrammi e codici QR. I materiali sono il più delle volte spediti in carichi diversi, una tattica volta a minimizzare la possibilità che l’intera operazione venga compromessa da un singolo sequestro. Questa strategia non è priva di ostacoli, richiedendo l’allestimento di impianti produttivi, ma, le zone franche con normative più flessibili e minori vincoli ispettivi si rivelano contesti ideali per la localizzazione di tali strutture e, il vantaggio in termini di riduzione del rischio di rilevamento supera le difficoltà.

L’assemblaggio dei falsi rappresenta una delle innovazioni più significative nel modus operandi dei contraffattori.

La distribuzione geografica delle economie di provenienza merita particolare attenzione. Oltre a Cina e Hong Kong, nell’indice GTRIC-e, che misura la propensione relativa delle economie a esportare prodotti contraffatti, emergono paesi come Turchia, Libano e Siria. Quest’ultimo caso è particolarmente significativo e conferma quanto rilevato in precedenti studi dell’OCSE: i conflitti armati creano condizioni favorevoli al commercio illecito, con quadri di governance deboli o assenti che permettono ai gruppi criminali di operare con minima supervisione. I profitti derivanti da queste attività possono inoltre costituire un incentivo al prolungamento dei conflitti stessi, creando un circolo vizioso difficile da interrompere.

Nel biennio 2020-2021, abbigliamento e calzature hanno rappresentato oltre il 43% dei sequestri totali.

Per quanto riguarda le tipologie di merci contraffatte, si contano almeno 50 categorie merceologiche coinvolte nei sequestri doganali. Tuttavia, alcune si distinguono per l’ampiezza, altre per il valore, altre ancora per la pericolosità. Nel biennio 2020-2021, abbigliamento e calzature hanno rappresentato oltre il 43% dei sequestri totali, seguiti dagli articoli in pelle, dispositivi elettronici, cosmetici e farmaci. In termini di valore, orologi e calzature restano le voci predominanti, testimoniando l’orientamento dei contraffattori verso prodotti ad alto margine e forte domanda. Ma il dato più allarmante riguarda la crescente presenza di prodotti ad alto rischio per la salute e la sicurezza: farmaci non testati e non autorizzati, cosmetici nocivi, giocattoli che non rispettano gli standard di sicurezza, componenti elettronici potenzialmente letali, tessuti trattati con sostanze tossiche. La sofisticazione delle tecniche produttive, unita alla mancanza di responsabilità legale, trasforma il semplice “falso” in una potenziale minaccia per la vita quotidiana. Un’altra trasformazione degna di nota riguarda i metodi di trasporto: i servizi postali sono diventati il canale principale per il trasporto di merci contraffatte, rappresentando quasi il 60% degli articoli sequestrati, seguono i servizi di corriere espresso (17%) e il trasporto aereo (13%). Ma uno degli ostacoli più grandi ai controlli delle autorità doganali è la cosiddetta “atomizzazione” delle spedizioni. I dati mostrano un chiaro trend verso pacchi sempre più piccoli: nel 2020-21, le spedizioni contenenti meno di dieci articoli rappresentavano il 79% di tutti i sequestri, in aumento rispetto al 61% del periodo 2017-19. Questa frammentazione, unita all’utilizzo della soglia “de minimis” – il valore al di sotto del quale le spedizioni sono esenti da dazi all’importazione e soggette a procedure semplificate – complica notevolmente il lavoro di controllo. I piccoli pacchi, spesso accompagnati da descrizioni vaghe come “roba” o “oggetti vari”, rappresentano un volume enorme con un valore individuale trascurabile, riducendo l’efficacia delle indagini e dei controlli sistematici.

Tra le 25 principali economie di destinazione del commercio globale di prodotti contraffatti, 20 sono Stati membri dell’Ue.

In questo contesto, il mercato europeo appare particolarmente vulnerabile, confermandosi come uno dei principali mercati di destinazione dei beni contraffatti a livello globale. Tra le 25 principali economie di destinazione del commercio globale di merci contraffatte, ben 20 sono Stati membri dell’Ue, seppur con differenze significative nell’intensità del fenomeno. La Germania emerge come il principale obiettivo, rappresentando il 15% di tutti i sequestri globali, seguita dal Belgio (13%) e dall’Austria (7%), ma anche l’Italia non viene risparmiata da questo circuito collocandosi al settimo posto nella classifica globale dei sequestri. In termini economici, il valore delle merci sequestrate dirette all’Europa è considerevole avendo raggiunto nel 2021 i 117 miliardi di dollari, pari al 4,7% del totale delle importazioni europee. Sebbene questa cifra rappresenti una diminuzione rispetto al periodo pre-Covid, quando il commercio di contraffazioni ammontava a 134 miliardi di dollari e costituiva il 5,8% delle importazioni dell’Ue, l’incidenza percentuale rimane significativamente più alta rispetto alla media globale (2,3%), confermando la particolare permeabilità del mercato europeo.

Cosmetici, giocattoli, prodotti farmaceutici e ricambi auto compaiono stabilmente tra le prime dodici categorie di prodotti sequestrati.

Per quanto riguarda i settori merceologici coinvolti, l’Unione europea si conferma vulnerabile sia sui beni di largo consumo che sui prodotti di fascia alta. Abbigliamento, calzature, pelletteria e orologi restano le categorie più frequentemente contraffatte, ma cosmetici, giocattoli, prodotti farmaceutici e ricambi auto – ovvero beni con un impatto diretto sulla salute e sulla sicurezza dei cittadini – compaiono stabilmente tra le prime dodici categorie di prodotti sequestrati, alimentando preoccupazioni tra le autorità sanitarie e doganali. L’analisi del mercato europeo della contraffazione ha portato inoltre alla luce, un caso emblematico della capacità di adattamento dei circuiti illeciti alle crisi: prima del 2020 la probabilità di contraffazione di merci rientranti nella categoria 63 del sistema armonizzato, che include i dispositivi di protezione individuale come le mascherine facciali, era praticamente pari a zero, mentre nel biennio 2020-2021 è salita a 0,2 evidenziando la prontezza con cui i contraffattori hanno saputo rispondere alla crescente domanda di questi prodotti durante la pandemia.

Prodotti contraffatti, collaborare con gli intermediari logistici che rappresentano spesso l’anello più fragile della filiera distributiva.

Nelle sue conclusioni, l’OCSE ribadisce come il commercio dei falsi continui a rappresentare una minaccia sistemica per l’economia globale, minando la fiducia dei consumatori, compromettendo la sicurezza pubblica, alimentando reti criminali transnazionali e sottraendo risorse agli Stati e ai circuiti legali. Il report, pur riconoscendo le crescenti difficoltà operative legate sia all’evoluzione delle strategie criminali sia alla scarsità delle risorse con cui si confrontano i governi, traccia una direzione chiara da seguire. La risposta più efficace, si legge, non può che essere multilivello e fondata sulla cooperazione strutturata e permanente tra istituzioni pubbliche e settore privato. Occorre potenziare i meccanismi di scambio informativo, rafforzando le sinergie tra dogane, forze dell’ordine e titolari dei diritti di proprietà intellettuale, attraverso l’utilizzo sistematico di strumenti digitali avanzati come il Portale europeo per la tutela della PI (IPEP), già oggi modello virtuoso di interoperabilità. Ma non è sufficiente: il report invita a estendere la collaborazione anche agli intermediari logistici – corrieri, spedizionieri, operatori postali – che rappresentano spesso l’anello più fragile della filiera distributiva. Particolare attenzione viene infine riservata al ruolo delle piccole e medie imprese, frequentemente esposte alle violazioni della proprietà intellettuale, ma prive delle risorse per difendersi e fronteggiare in autonomia i danni della contraffazione. Un sistema di enforcement concentrato sulle grandi aziende, ma che trascura le fragilità delle realtà più piccole, indebolisce la spina dorsale dell’intero sistema economico. Al contrario, una governance inclusiva della proprietà intellettuale è una condizione non negoziabile per garantire un sistema commerciale realmente più solido e regolamentato.

*Mariarosaria Zamboi, ricercatrice dell’Eurispes.

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