Terre rare, firmato l’accordo Usa-Ucraina. Gli Stati Uniti tornano a sostenere militarmente l’Ucraina

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Gli Stati Uniti tornano a sostenere militarmente l’Ucraina. L’amministrazione Trump ha autorizzato il primo pacchetto di forniture belliche destinato a Kiev. Una svolta che arriva in parallelo con un nuovo accordo strategico sulle risorse naturali ucraine (l’accordo sulle Terre rare), rafforzando i legami tra Washington e il governo di Volodymyr Zelensky.

Dopo mesi di stallo e trattative, il Dipartimento di Stato americano ha certificato una proposta di esportazione verso l’Ucraina che comprende hardware militare e servizi per la difesa, per un valore stimato di 50 milioni di dollari. Pur non essendo ancora noti i dettagli precisi sulle forniture, l’intesa apre la strada a future trattative per l’acquisto di sistemi di difesa avanzati, come i Patriot, già richiesti da Kiev. È il primo invio autorizzato dall’amministrazione Trump da quando ha ripreso la guida della Casa Bianca, dopo la sospensione delle forniture decisa all’inizio del suo mandato.

Il riavvicinamento tra i due Paesi è stato facilitato dalla firma di un nuovo accordo economico sulle risorse naturali. Stati Uniti e Ucraina hanno stabilito la creazione di un fondo congiunto per lo sfruttamento di giacimenti minerari, petroliferi e di gas. I proventi saranno reinvestiti nella ricostruzione del paese e nel rilancio dell’economia ucraina, devastata dalla guerra.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha definito l’intesa con Washington “storica”, precisando che essa garantisce all’Ucraina la piena proprietà delle risorse e la possibilità di bandire gare d’appalto competitive. L’accordo, secondo Kiev, offre una cornice di collaborazione paritaria e vantaggiosa, diversa dalle proposte iniziali, giudicate troppo restrittive.

L’Ucraina ha dimostrato una grande capacità di resistenza, sostenuta da una rete sempre più solida di alleati occidentali. Le forze armate ucraine sono diventate più esperte, più equipaggiate e più coordinate rispetto all’inizio della guerra. Eppure, la Russia continua a godere di una superiorità numerica in termini di uomini, risorse e potenziale industriale. Inoltre, l’esercito russo mantiene il controllo di ampie porzioni di territorio, tra cui la Crimea e parti del Donbass, il che rende estremamente complessa una riconquista totale.

Poi, il sostegno internazionale all’Ucraina, per quanto forte oggi, non è garantito nel lungo periodo. Eventuali cambiamenti politici negli Stati Uniti o in Europa potrebbero ridimensionare il flusso di armi e fondi. In questo senso, l’equilibrio della guerra dipende anche da fattori esterni al campo di battaglia.

In definitiva, il supporto americano può senz’altro rafforzare la posizione di Kiev, renderla più sicura e metterla in condizione di respingere ulteriori attacchi, ma nulla di più.

Vladimir Putin ha cambiato idea e obiettivi nella guerra con l’Ucraina. Il Cremlino sembra aver abbandonato l’idea di una lunga guerra di logoramento, da portare avanti parallelamente ad un lento processo negoziale, e ora privilegia un orizzonte a breve termine.

Sul campo, Mosca punta a quasi esclusivamente a consolidare il controllo dei territori occupati – le regioni di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson – mentre in ambito interno la priorità e la ripresa di un’economia che ha bisogno di una svolta dopo 3 anni di conflitto.

Gli Stati Uniti mantengono però una ‘quota’ di scetticismo, visto che le proposte americane per un accordo finora non hanno ricevuto il sì di Mosca nonostante le offerte che Washington ritiene generose.
Il presidente degli Stati Uniti, negli ultimi giorni, ha ripetutamente prospettato l’ipotesi di nuove sanzioni nei confronti della Russia. Mosca, inoltre, è allettata dalla prospettiva di una nuova cooperazione economica con l’America.

Portare avanti la guerra a lungo termine diventa più complesso per gli invasori dopo il consolidamento dei rapporti tra Ucraina e Stati Uniti. L’incontro tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e Trump in Vaticano è stato un ‘game changer’. Il faccia a faccia nella Basilica di San Pietro è diventato il prologo alla firma dell’accordo sulle terre rare. Trump può finalmente esibire un risultato, al momento e in prospettiva più teorico che concreto: “Possiamo guadagnare più dei 350 miliardi spesi da Biden per la guerra”, dice il presidente americano scommettendo sui benefici legati allo sfruttamento delle risorse minerarie ucraine.

Zelensky, nel testo modificato fino all’ultimo momento prima della firma, ha ottenuto l’inserimento di parametri determinanti per Kiev: non si parla espressamente di ‘garanzie di sicurezza’ per l’Ucraina, ma il risultato ottenuto è comunque notevole. L’intesa tra i due paesi vincola gli Usa al “sostegno per la sicurezza dell’Ucraina, alla prosperità, alla ricostruzione e all’integrazione nel sistema economico globale”.

“L’accordo è cambiato significativamente durante la preparazione. Ora è davvero un accordo di parità, che apre a investimenti sostanziali in Ucraina e alla modernizzazione delle nostre pratiche giuridiche”, dice Zelensky, evidenziando che l’accordo non prevede alcun debito, ma crea un fondo di recupero destinato a investire in Ucraina.

Il presidente russo ha incontrato più volte l’inviato speciale della Casa Bianca, Steve Witkoff. Il Cremlino ha avuto modo di chiarire le proprie condizioni per la pace ma non ha sfruttato l’assist americano: Trump ha sostanzialmente offerto alla Russia ampie porzioni delle 4 regioni ucraine occupate – Kherson, Zaporizhzhia, Luhansk e Donetsk – oltre alla Crimea.

Due elementi hanno contribuito a cambiare il quadro. Mosca ha continuato a bombardare, con raid che hanno colpito i civili. “Non so se Putin voglia la fine della guerra, forse mi sta prendendo in giro”, ha detto Trump. Poi, dal 26 aprile con lo storico incontro in Vaticano tra il presidente americano e quello ucraino, i rapporti Washington-Kiev sono decollati e culminati nella firma dell’intesa sulle terre rare: Trump ottiene in teoria l’opportunità di recuperare i 350 miliardi spesi dall’amministrazione Biden, Zelensky si assicura un legame stabile con gli Stati Uniti.

Mosca ha meno spazio nel dialogo con Washington. Anche la figura di Witkoff, interlocutore americano di Putin, nell’amministrazione Trump sembra perdere consensi: l’inviato speciale è ritenuto troppo allineato alle posizioni del Cremlino e si limiterebbe a trasmettere le richieste del presidente russo, con cui interagisce senza il supporto di collaboratori al tavolo.

Prima, Zelensky per Trump era ”un uomo senza carte in mano”, ora il presidente degli Stati Uniti boccia senza appello la tregua proclamata da Putin dall’8 all’11 maggio per proteggere la parata del 9 maggio a Mosca: “Troppo poco”, la posizione della Casa Bianca. La Casa Bianca per la prima volta ha anche fatto riferimento ad una deadline per la Russia: senza passi concreti, potrebbero arrivare nuove sanzioni secondarie che colpirebbero in maniera pesantissima chi acquista petrolio, gas e uranio da Mosca.

L’economia diventa un fattore da considerare nella strategia: se i falchi spingono Putin a continuare la guerra, per evitare che una tregua consenta all’Ucraina di riarmarsi e consolidare le proprie forze armate, una parte dell’establishment apprezzerebbe una linea più soft per ottenere una rimozione almeno parziale delle sanzioni. “Le banche non sono nelle condizioni migliori – prosegue la fonte -: se parliamo del livello del debito tra la popolazione se parliamo di inflazione e di calo della qualità della vita, sono tutte cose che si stanno verificando”.

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