Matteo Renzi analizza i recenti risultati elettorali: Genova dimostra che il centrosinistra unito può vincere. Genova, città simbolo e barometro politico, è passata al centrosinistra già al primo turno. Un risultato tutt’altro che scontato, che arriva a sei mesi dalle elezioni regionali in Liguria, vinte dalla destra per un soffio. La chiave, secondo Matteo Renzi, sta nell’unità ritrovata.
L’ex premier ha osservato: “La differenza tra la Liguria 2024 e Genova 2025 mi sembra evidente. Sei mesi fa la sinistra mette un veto su noi di Italia viva e la conseguenza è che vince la destra per un punto. Alle comunali di domenica scorsa invece il veto sparisce e vince al primo turno la sinistra per un punto.”
La vittoria genovese per Renzi rappresenta “la dimostrazione che noi possiamo fare la differenza”. Un concetto ribadito più volte: “Può piacere o meno ma noi facciamo la differenza. E se ci mettiamo tutti insieme, Meloni va a casa. Vinceremo quattro regioni, come minimo. E a quel punto Giorgia Meloni farà di tutto pur di cambiare la legge elettorale, sentendosi franare il terreno sotto i piedi.”
Nel frattempo, Renzi non evita i temi più divisivi: “Sì. E non c’era bisogno di questo referendum, per me. Ma è anche vero che stiamo discutendo del passato. Io confermo la mia opinione e voterò tre no e due sì.” Tuttavia, insiste, il futuro va costruito su basi concrete: “La vera sfida però non è più l’articolo 18: oggi il dramma sono gli stipendi.” Renzi ha anche annunciato la partecipazione di Italia Viva alla manifestazione per Gaza del 6 giugno: “Saremo quindi a Milano con tutti coloro che credono nella soluzione dei due popoli e due Stati.”
In questa occasione Matteo Renzi e Carlo Calenda tornano insieme, dove ha fallito il progetto del Terzo Polo, è riuscita la crisi a Gaza: rimettere insieme due leader che negli ultimi anni non hanno risparmiato critiche, attacchi e frecciatine reciproche. Eppure, il 6 giugno a Milano, saranno fianco a fianco per una manifestazione. Nel 2016, Renzi da premier mandò il leader di Italia Viva a Bruxelles, spiegando: “Visto che vi lamentate, vi mando uno più rissoso di me e bravissimo sui dossier: Calenda”. Un legame che si consolidò durante l’esperienza di governo, con Calenda vice ministro e poi ministro. Entrambi con un passato nel PD, condividevano la voglia di creare qualcosa di nuovo. Nel 2020, l’ex premier appoggiò Calenda nella corsa a sindaco di Roma. Ma la convivenza non durò. Il tentativo di creare un Terzo Polo unito si infranse presto contro personalità forti e visioni divergenti. Ora, però, la crisi in Medio Oriente ha riavvicinato i due ex partner. Il 6 giugno si ritroveranno in piazza a Milano, non per rilanciare un progetto politico comune, ma per una causa condivisa.
Altra causa condivisa sarebbe la grande trappola del voto anticipato, conquistato attraverso un trappolone ai danni di Giorgia Meloni e del suo Governo. L’ammucchiata con Elly Schlein, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni, Matteo Renzi e tutto quello che immaginariamente riguarda il caravanserraglio della sinistra di lotta e di governo procede e precede la strada obbligata del voto anticipato.
Tutto nasce dal pensiero e dalla penna di Maurizio Belpietro che semina le pulci nelle orecchie e nelle menti dei lettori.
Il Kingmaker della defenestrazione da Palazzo Chigi della leader di Fratelli d’Italia potrebbe essere Carlo Calenda, l’uomo gradito alle élite nostrane ed europee. La manovra politica ideata prevede l’addensamento di una forza centrista per mitosi delle cellule madri rispettivamente del centrosinistra e del centrodestra. In pratica, il disegno verticista di Calenda si baserebbe sulla confluenza al centro di una quota di “dem” – presumibilmente l’ala riformista rappresentata dalla “mitica” Pina Picierno – in auspicata uscita dal Partito democratico e dell’intera Forza Italia in ipotizzata rottura con gli alleati della destra. L’operazione sarebbe benedetta dalle principali cancellerie europee, in particolare di Francia e Germania, sulla falsariga del golpe bianco che nel 2011 portò alla defenestrazione di Silvio Berlusconi e all’approdo a Palazzo Chigi del “commissario” Mario Monti. Il processo di destrutturazione delle odierne coalizioni sarebbe preceduto da una fase transitoria, con la nascita di un Governo tecnico di salvezza nazionale guidato dal politico di tutte le stagioni Paolo Gentiloni, e tenuto in piedi dall’attuale capo dello Stato. Uno scenario da incubo che Belpietro enuncia quasi fosse un’ipotesi ben argomentata. Forse a Belpietro sfugge che la manovra riuscita con il siluramento di Berlusconi, nel 2011, si svolgeva in un contesto totalmente diverso da quello attuale. Innanzitutto, i mandanti esteri erano di tutt’altro spessore rispetto ai loro attuali epigoni. La coppia Angela Merkel-Nicolas Sarkozy aveva maggiore presa sull’Europa di quanta ne abbia oggi la combinata Emmanuel Macron-Friedrich Merz. Giorgia Meloni è riuscita, da contestatrice dell’élite europea a intrufolarsi nel cuore del potere eurocratico rendendosi indispensabile nel sostegno politico alla presidente Ursula von der Leyen. L’Italia ha ripreso slancio anche grazie al Piano Mattei che si sta rivelando un ottimo veicolo di influenza di un Paese manifatturiero, quale è il nostro, su un’area vasta di sottosviluppo che tuttavia possiede significative quote di materie prime energetiche e di metalli preziosi. Nel 2011 a Washington c’era Barack Obama e, soprattutto, Hillary Clinton era alla Segreteria di Stato. Oggi c’è Donald Trump, che nutre nei confronti dei leader francese e tedesco scarsa considerazione.
Non dimentichiamo poi che Carlo Calenda è l’uomo dei consensi elettorali da prefisso telefonico e dovrebbe fare perno sullo slittamento al centro di Forza Italia. Ora, tutto si può dire di Antonio Tajani e compagni ma non che siano dei fessi votati al suicidio politico. Nei 30 e passa anni di esperienza di centrodestra hanno compreso benissimo che il loro blocco sociale di riferimento, sebbene con tutti i distinguo e gli “ismi” possibili, è di destra. Una destra moderata, riformista, prudentemente laica, prudentemente cattolica, vagamente liberale, ma pur sempre destra. Un bacino elettorale non così fluido da deviare a sinistra. Al contrario, sanzionerebbe pesantemente nelle urne chi si rendesse responsabile di un indesiderato salto della quaglia nel campo avversario.
Non dimentichiamo poi la sciagurata decisione di Berlusconi di aderire al Patto del Nazareno con Matteo Renzi; dopo la fuga di una parte degli eletti forzisti, consegnatisi al ruolo di utili idioti dei Governi altrimenti minoritari del centrosinistra (il caso del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano), Forza Italia ottenne il 14 per cento dei voti per la Camera dei deputati. Un crollo che trovava logica spiegazione nello scontento del bacino tradizionale berlusconiano per la condotta ondivaga assunta dal partito azzurro dal 2013 in poi.
Ora, la domanda è: con una Meloni che gode di un gradimento stellare presso l’opinione pubblica, in quale formato, se non quello suicidario di un centro molto frondoso ma poco fruttuoso, si dovrebbe collocare Forza Italia dopo aver rotto la coalizione trentennale di centrodestra? Belpietro fa il suo mestiere di seminatore di pulci nelle orecchie e nelle menti dei lettori, realtà che ci invita a stare in guardia senza ascoltare e comprendere i ragionamenti viziosi e viziati di Belpietro.