Referendum, Pd spaccato sul Jobs act

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Sui referendum il Pd è spaccato, a rovinare il sonno a Elly Schlein il quesito referendario sul Jobs act che la segretaria ha sposato fin dall’inizio in obbedienza ai diktat di Maurizio Landini che continua a ripetere che il quorum per il referendum dell’8 e 9 giugno è “assolutamente raggiungibile”, ma il suo ottimismo non è riscontrabile nella realtà.

Il correntone di minoranza guidato da Stefano Bonaccini, è pronto a mandare per aria i  f sogni “unitari” della segretaria. L’intenzione è di votare sì al quesito promosso da +Europa e a quello sui subappalti. Sugli altri, che hanno nel mirino il Jobs act, antico ‘capolavoro’ di  Renzi, la maggior parte dei riformisti non ritirerà nemmeno le schede. La Schlein   ha chiesto esplicitamente nell’ultima direzione di non fare campagna per l’astensione. “Il Pd supporta tutti i referendum e chiede di invitare tutti a votare, anche chi voterà diversamente, ma io non chiedo abiure a chi non li ha firmati e a chi non dirà sì a tutti i quesiti”.

L’ordine è chiaro, pena la scomunica visto che Elly sul quesito ammazza Jobs act ci ha messo la faccia, ha raccolto le firme, si è fatta immortalare sorridente insieme a Landini e ora si trova in un vicolo cieco. Emblematica la dichiarazione di Alessandro Alfieri: “La strada maestra per un tagliando alla legge sul Jobs act è il Parlamento”.

 Andrea Orlando: “I quesiti referendari non devono essere una rivincita sul Jobs act, ma l’occasione per chiudere una stagione in cui si è pensato che la competitività si potesse realizzare con maggiore flessibilità e la svalutazione del lavoro”.

Ad astenersi anche Dario Franceschini che non ha firmato quei quesiti. A sfilarsi dalla crociata della Cgil anche il presidente dell’Anci Gaetano Manfredi che ha detto apertamente che si asterrà. Laconico il sindaco di Milano Beppe Sala che preferisce dichiarare solo sul quesito  che riguarda la cittadinanza. Per la segretaria dem è uno scossone visto che  sa bene che l’asticella del quorum è troppo alta. Ossessionata dalla spallata a Palazzo Chigi lancia una nuova sfida: raccogliere un numero di “sì” più alto dei voti ottenuti dalla maggioranza alle ultime elezioni politiche. Se l’aritmetica dovesse esserle favorevole potrebbe dire che l’opposizione ha più voti della maggioranza.

 “L’appello al non voto della destra è un segnale di debolezza nonché un preoccupante indizio dei tempi che viviamo. Le minacce alla democrazia sono molteplici e i cittadini hanno nel voto la possibilità di esercitare un diritto costituzionale”. Parola di Alessandra Moretti che aggiunge: “Non è un referendum sulla Meloni, come vorrebbero farlo diventare”. Ovvio che non abbia interloquito con la segretaria. Da qui all’8 giugno la confusione non potrà che aumentare con buona pace di Schlein per la quale, come ha detto brindando al suo 40esimo compleanno, la priorità è il “fattore umano”.

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