Rapporto Almalaurea. Università, lavoro e stipendi: l’Italia forma i talenti, ma non li trattiene

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In Italia si continua a studiare troppo a lungo e a guadagnare troppo poco. È quanto emerge dal XXVII Rapporto Almalaurea sul profilo e la condizione occupazionale dei laureati, che fotografa un’università in evoluzione ma ancora lontana da un’effettiva sintonia con il mondo del lavoro.

L’età media alla laurea si attesta a 24,5 anni per i corsi triennali e a 27,5 per i magistrali. Solo il 58-59% degli studenti riesce a concludere il percorso nei tempi previsti, e la regolarità sembra essere ancora legata alla condizione familiare: i figli di laureati sono quelli che si laureano più rapidamente. Le disuguaglianze si allargano anche sul piano territoriale e di genere. Le donne, pur avendo risultati scolastici migliori, incontrano maggiori difficoltà di inserimento professionale. E dal Sud continua a partire una migrazione interna che porta i migliori laureati verso il Nord e, sempre più, fuori dai confini nazionali.

Il problema principale resta il mercato del lavoro. Dopo un anno dalla laurea, lo stipendio netto medio di un triennalista è di 1.492 euro, mentre per un laureato magistrale scende a 1.488. Una sostanziale equivalenza che segnala come il mercato non riconosca un reale valore aggiunto al percorso specialistico. Dopo cinque anni, chi lavora all’estero guadagna in media il 62% in più rispetto a chi resta in Italia. Solo il 15% degli expat immagina un ritorno nel proprio Paese.

A rendere ancora più critico il quadro è la crescente distanza tra la formazione offerta dalle università e le competenze richieste dalle imprese. Un disallineamento che rischia di ampliarsi, complice la velocità della transizione tecnologica e l’incertezza globale. Le aziende reagiscono creando academy interne per formare i profili di cui hanno bisogno, mentre il sistema universitario fatica a garantire esperienze formative capaci di dialogare con il mondo del lavoro.

Il Rapporto invita a un cambio di passo. L’Italia, oggi in fondo alla classifica europea per numero di laureati nella fascia 25-34 anni, deve investire con decisione nella formazione. Serve un sistema in grado di rafforzare le competenze di base, ma anche di offrire esperienze concrete e internazionali. Serve soprattutto una politica comune. L’idea proposta è quella di un “Euro dell’educazione”, una grande strategia europea in grado di unire politiche educative e industriali per rimettere al centro le persone.

Perché senza laureati valorizzati, l’Italia non solo perde capitale umano, ma anche la possibilità di costruire il proprio futuro.

Valentina Alvaro

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