Secondo un report del 2024 redatto da Greenpeace, si pensa che 125mila persone in Piemonte possano aver bevuto acqua contaminata da sostanze cancerogene, ad oggi ufficialmente ricollegate alla morte di Pasqualino Zenere, operaio dell’azienda chimica Miteni. Le PFAS (o sostanze perfluoroalchiliche) vengono largamente utilizzate per le loro proprietà uniche, tra cui resistenza termica, idrorepellenza e, soprattutto, capacità di rendere le superfici antiaderenti. Proprietà che li rendono indispensabili ad una serie di processi industriali; il rischio è che la mala gestione dei prodotti di scarto possa portare i PFAS a penetrare nel terreno ed entrare nella catena alimentare, con conseguenze ancora oggetto di studi, ma comunque altamente pericolose.
Secondo studi dell’EFSA (autorità europea per la sicurezza alimentare), l’esposizione ad alcuni PFAS causa un aumento dei livelli di colesterolo; intacca meccanismi metabolici e vie ormonali, oltre a produrre una sovraregolazione di un gene responsabile dello sviluppo di diversi tipi di cancro. Inoltre, data l’altissima stabilità molecolare, sono in grado di inquinare bacini d’acqua, terreno e corpo per molto tempo: l’emivita di questi composti si attesta tra i tre ed i cinque anni. Sono quindi necessari un minimo di sei anni per liberarsi definitivamente dell’intera concentrazione di PFAS.
Per la prima volta nella storia l’Italia riconosce ufficialmente la pericolosità di queste sostanze chimiche per i lavoratori e non solo, con una sentenza che ricollega la vicenda di Zenere, deceduto nel 2014 per un tumore alla pelvi renale dopo aver lavorato per tredici anni alla Miteni (quando ancora si chiamava Rimar), ai danni causati dall’esposizione prolungata ai PFAS. Il PFOA (acido perfluoroottanico), nello specifico, è già stato classificato come cancerogeno per l’uomo dall’AIRC, mentre il PFOS (acido perfluoroottansolfonico) è un potenziale cancerogeno.
Per Greenpeace, questa sentenza rappresenta un “precedente che segna un punto di svolta”; inoltre, proprio in questi giorni si sta concludendo il processo contro quindici ex dirigenti della Miteni, considerati responsabili per l’inquinamento di una falda acquifera che si pensa abbia coinvolto almeno 350mila persone.