La saga di Almasri in scena in Parlamento. E’ tutta una presa per … ignorare i problemi di ogni giorno

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Le odierne audizioni parlamentari dei Ministri Norbio e Piantedosi sulla la vicenda del generale libico Almasri, arrestato su “quella sponda del fiume Po, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto”, accusato dalla Corte Penale Internazionale di atroci crimini e rimpatriato dal Bel Paese, potrebbe essere un remake politico letterario dei giorni nostri. A voler scomodare il Manzoni, dopo aver assistito alle due informative e alle successive dichiarazioni, verrebbe da dire: “la ragione e il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell’una o dell’altro”. Si perché, come scrisse il vate fiorentino in chiave parafrasata attuale: “nel mezzo del cammin di nostra legislatura mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita”. A recitare i versi danteschi pare sia Lei, la versione governativa dei giorni nostri della figura manzioniana dell’Innominata. Colei che oggi, alle Camere, non c’era ma più volte evocata. A varcar le fastose soglie istituzionali i due “bravi”, ministri Nordio e Piantedosi che hanno provato a spiegare all’assise illuminate della democrazia attuale che ci meritiamo e, in diretta Tv a tutto il volgo costituzionale perché l’asserzione di don Rodrigo Lo Voi: “Quella scarcerazione e quel rimpatrio non s’avea da fare”, era ingiusta e infondata. Ma davanti agli eredi delle due fazioni contrapposte dei Capuleti e dei Montecchi nulla s’è potuto far per dissipar dubbi. Tutti cercavano Lei, la Monaca di Monza chiusa nel suo convento lontano dagli scherni dei bravi d’una e d’altra fazione. Il risultato? Non s’è capito granché se non che tutti han ragione dal loro punto di vista, in barba a “li problemi de lu Paese”. Seguendo il dibattito e i diversi interventi dei diversi schieramenti politici sembrava riascoltare le parole dell’Albertone nazionale nella celebre pellicola diretta da Mario Monicelli, quando il marchese del Grillo ebbe a dir “mi dispiace, ma io so’ io e voi non siete un cazzo!” Tutti depositari di allegoriche verità politiche e giudizarie delle quali il Paese, quello che di coloro che lavorano ogni giorno e che fanno i conti quotidianamente con i concreti problemi reali di ogni giorno, ne ha piene le tasche bucate dei pantaloni. Perché, volendo scomodare, nuovamente, il vate fiorentino verrebbe da dire: “ed elli avea del cul fatto trombetta”, volendo, però, far presente a tutta la corte celeste della politica italiana che come disse il mitico “er monnezza” nel maresciallo Girardi (interpretato da Tomas Miliam): “su sta fava nun se suregia”, perché gli italiani sono stufi di fare la parte del “cane di Mustafà”. A buon intenditor poche parole, perché l’intelligenza umana è stufa di essere presa per i fondelli.

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