Il sacerdote ha mentito ed è stato arrestato per omicidio stradale e omissione di soccorso

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È scattato l’ordine di arresto per don Nicola D’Onghia, il 54enne sacerdote don Nicola D’Onghia sacerdote della parrocchia di San Giovanni Battista a Turi e docente di teologia, difeso dagli avvocati Rita Mansueto e Federico Staziora. Il prelato già indagato da qualche settimana per la morte, a causa di un incidente stradale, della 32enne Fabiana Chiarappa, giovane rugbista e soccorritrice volontaria del 118, deve rispondere del reato di omicidio colposo stradale e omissione di soccorso. A questa conclusione applicando la misura cautelare domiciliare è arrivato il giudice delle indagini preliminari del tribunale di Bari, Nicola Bramante che ha accolto la richiesta della Procura della Repubblica del capoluogo pugliese a firma del procuratore aggiunto Ciro Angelillis e del sostituto Ileana Ramundo. Secondo il teorema accusatorio, ricostruito dalla certosina attività di indagine portata avanti dagli investigatori e dai tecnici dell’Arma dei carabinieri, la sera dello scorso 2 aprile, sulla strada statale “dei Trulli e delle Grotte, numero 172, nel tratto che collega Turi con Putignano, al chilometro 12,4, tutto si è svolto in una manciata di secondi qualche minuto prima delle 20,30. Qualche minuto prima l’auto del sacerdote precedeva la moto, una Suzuki, della vittima, alla rotatoria davanti alle cantine Coppi, poche decine di metri prima del punto preciso dell’incidente la moto sorpassa il veicolo per, poi, perdere l’equilibrio, alle 20,28,03, forse a causa del fondo stradale bagnato e della velocità, finendo per schiantarsi alle 20,28,05 contro un muretto laterale al ciglio stradale, impatto che fa scarrocciare la moto per 45 metri per altri ulteriori tre secondi. Secondo gli inquirenti, passano da quel momento, come risulta dalle registrazioni delle telecamere di videosorveglianza solo venti secondi dalla caduta, quando alle 20,28,23 si ascolta il rumore del travolgimento da parte dell’auto del sacerdote che passa sulla testa e sul corpo della motociclista che era sopravvissuta alla caduta e all’impatto. Auto che poi, ancora 19 secondi dopo si ferma, 238 metri più avanti nella piazzola di un distributore di servizio, dove il sacerdote si accerta dei danni subiti a causa dell’urto che lui sostiene non si era saputo spiegare. Dai riscontri investigativi emergerà, poi, che il sacerdote fino a 9 secondi prima del travolgimento era impegnato a telefono. Ma, nella stazione Don Nicola telefona alla sorella chiedendo di essere soccorso perché crede di aver investito un sasso che possa avergli danneggiato l’auto. Il prelato aspetta nella stazione di servizio, prima di allontanarsi per 31 minuti fino a quando non arriva la sorella con il cognato a sincerarsi che l’auto non avesse subito danni al motore. In quel frangente don Nicola vede arrivare le auto dei soccorritori e delle forze dell’ordine che intervennero sull’incidente, nota la fila di auto che resta incolonnate e sostiene di non aver neanche per un istante collegato quanto stava accadendo con quanto gli era successo una manciata di minuti prima al punto che alle 24,14 lascia a bordo dell’auto la stazione di servizio per tornarsene a casa. Dagli esami effettuati sui due mezzi coinvolti nell’incidente emerge che tracce di sangue della vittima erano state rilevate sulla ruota destra insieme ad alcuni residui di capelli e che la scocca sottostante l’auto presentava un danno compatibile con lo schiacciamento di un corpo la cui testa indossava un casco. Tutti elementi, questi, che per il tribunale barese vanno nella direzione della inequivocabile responsabilità del sacerdote al punto da decidere di metterlo agli arresti domiciliari. Decisione contro la quale ricorreranno i difensori di don Nicola puntando sul fatto che non ci può essere un inquinamento delle prove, che insieme alla possibilità di reiterare il reato e di una eventuale fuga possono giustificare l’emissione del provvedimento cautelare di carcerazione preventiva. Appresa la notizia dell’arresto di Don Nicola, Anna Adamaria Doria, la mamma di Fabiana, che insieme al marito, sono assistiti dall’avvocato Guido Di Paolo, dice: “non ho molta voglia di parlare in questo momento, per il grande dolore che mi porto dentro. Non riesco a concepire tutta questa situazione. Io voglio solo dire che ho sempre insegnato a mia figlia a prendersi e assumersi le sue responsabilità e non mi sembra che in questo caso ci sia stato qualcuno che lo abbia fatto”.

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