Secondo dati pubblicati dal Parlamento europeo, ogni anno i cittadini europei utilizzano 26 kg di tessuti per poi smaltirne 11 kg; quello che viene dismesso può essere trasportato fuori dall’Europa e riciclato, ma per la maggior parte (87%) viene incenerito o lasciato in discarica. La produzione globale di fibra tessile, sotto l’impulso dell’inarrestabile economia del fast fashion, è raddoppiata nell’arco di vent’anni e ci si aspetta raggiunga le 145 milioni di tonnellate entro il 2030. Milioni di tonnellate di futuri rifiuti potenzialmente riciclabili ma mai tenuti in considerazione, almeno fino a questo momento.
Infatti, ciò che rende possibile acquistare capi a basso costo è la presenza, nei capi stessi, di fibre sintetiche in poliestere o nylon; entrambi potrebbero essere recuperati e riutilizzati, ma solo se separati dal resto delle fibre presenti nel tessuto. Aquafil, azienda italiana impegnata nel trattamento e riciclo del nylon, lancia il primo impianto per la separazione chimica delle fibre elastiche dal nylon; la ricerca, portata avanti grazie alla collaborazione con la Georgia Tech University, non si è mai fermata dal 2013 ed ha infine portato alla progettazione di un primo impianto pilota semi industriale.
Sarà quindi possibile riciclare i tessuti normalmente più complicati da trattare, come costumi da bagno ed abbigliamento sportivo, fornendo ad Aquafil prezioso materiale per il suo ECONYL, il nylon generato unicamente da scarti che li ha resi leader nel settore. La poliammide 6 (o nylon) non soltanto pronta ad essere trasformata nuovamente in fibra tessile, ma anche infinite volte riciclabile; ogni 10mila tonnellate di materiale grezzo utilizzato per produrre ECONYL si risparmiano 70mila barili di petrolio. Resta soltanto da incrementare la tecnologia per costruire un impianto industriale vero e proprio, su larga scala, dimostrando concretamente come il riciclo sia un’opzione valida, forse ad oggi l’unica possibile.