Tra realtà e delirio: la potenza teatrale del ‘Diario di un pazzo’

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Giovedì 8 maggio 2025 presso l’Off/Off theatre di Via Giulia, si è tenuto il secondo appuntamento con lo spettacolo scritto, diretto ed interpretato da Francesco Meoni.

Liberamente ispirato a “Memorie di un pazzo” è un racconto di Nikolaj Gogol’, scritto nel 1835, che fa parte della raccolta Racconti di Pietroburgo.

Meoni ha interpretato in maniera magistrale il protagonista, descrivendo la progressiva discesa nella follia di Popriščin Ivanovič, un piccolo funzionario pubblico frustrato e alienato.

Nel diario, Popriščin racconta episodi quotidiani, ma con toni sempre più stranianti: inizia a credere, ad esempio, che i cani parlino tra loro e che scrivano lettere. Si convince poi di essere il re di Spagna, Ferdinando VIII. Alla fine, viene internato in un manicomio, ma neppure lì riesce a distinguere realtà e delirio.

Popriščin è un uomo mediocre, un funzionario di basso rango che vive in una società fortemente gerarchica come quella della Russia zarista. È frustrato dal suo ruolo insignificante e sogna un riscatto sociale. Non ha relazioni affettive autentiche: è solo, incompreso, e la sua interiorità è piena di desideri irrealizzabili.

Il suo delirio – parlare coi cani, credersi re di Spagna – è il frutto della sua mente fragile, schiacciata dalla noia, dalla solitudine e dal disprezzo sociale. Ma più che un “pazzo” nel senso clinico, Popriščin è la rappresentazione di una coscienza che si frantuma sotto il peso dell’alienazione.

“Diario di un pazzo” è molto più di un semplice racconto sulla follia: è una critica feroce al sistema burocratico, che trasforma le persone in numeri, ne soffoca i sogni e le spinge alla disperazione. Gogol’ ci mostra come una mente, incapace di trovare uno scopo o un riconoscimento nella società, possa rifugiarsi in un mondo fantastico, anche a costo di perdere il contatto con la realtà.

Il racconto è anche una denuncia del modo in cui la società tratta chi è “diverso” o non si adatta alle sue regole. Popriščin è sì ridicolo, ma anche profondamente umano: lo spettatore finisce per provare compassione per lui, perché la sua “follia” è, in fondo, il riflesso di una realtà insostenibile.
Francesco Meoni è stato geniale quando, sia attraverso la regia sia grazie alla recitazione e alla messa in scena della storia, si è udito un rumore che richiamava chiaramente il suono del bussare alla porta di casa del protagonista. Questo ha fatto pensare, sia agli spettatori più attenti sia a chi conosceva il racconto, che potesse entrare in scena un nuovo personaggio: il fantomatico capo, frutto della follia del protagonista. Subito dopo questo fugace dubbio, la storia ha ripreso il suo corso. Un altro plauso, lo spettacolo “Diario di un pazzo” lo merita non solo per il finale molto suggestivo, ma anche per una scena in particolare che rappresenta uno dei pochissimi contatti con la realtà: quando il protagonista ha finalmente l’occasione di interagire con la figlia del capo. In quel momento, a causa delle dinamiche socio-culturali e del suo stato sociale, si rende conto — nonostante si fosse sempre illuso di essere il dipendente più stimato — di non essere all’altezza della donna che ama, giudicandosi inadeguato persino dal punto di vista del vestiario.

Theuodros Negussu

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