Al Teatro Trastevere, fino al 4 maggio, è in scena Brothers – Dai Balcani a Gaza, un’opera potente, dolorosa e necessaria. Tratto dai testi di Faruk Šehić, Mahmoud Darwish e altri autori che hanno attraversato la guerra col corpo e con la penna, l’adattamento e la regia di Gian Paolo Mai danno forma a un’esperienza teatrale che è più di uno spettacolo: è una denuncia, un viaggio interiore e collettivo dentro i conflitti che hanno lacerato il Novecento e che continuano a straziare il presente.
Il giornalista presente in sala sottolinea con forza l’efficacia emotiva e innovativa di una messinscena che rompe la barriera tra palco e platea: gli attori, molti dei quali giovani e talentuosi allievi di accademie come quella Internazionale di Teatro, si muovono tra il pubblico, lo coinvolgono fisicamente e psicologicamente. Simbolico e scioccante l’episodio in cui vengono distribuite mine antiuomo di plastica, a ricordare che la guerra colpisce spesso chi non combatte: i civili, i bambini.
Lo spettacolo si apre con un’immagine icastica: un reduce, claudicante, bastone alla mano, racconta la condizione esistenziale del soldato, sempre sotto il tiro di un cecchino – figura che, impietosa, incombe sullo sfondo. È il testimone di tutte le guerre: dalla Jugoslavia del ’92, primo teatro affrontato, alle trincee invisibili ma attualissime di Gaza. Un vero filo rosso collega le epoche, i popoli e le lingue – anche grazie all’alternanza fra video d’archivio e recitazione, fra testimonianze autentiche e versi poetici in lingua originale.
Commuove e scuote, ad esempio, la proiezione di un’intervista a Gino Strada, in cui il fondatore di Emergency racconta le ferite della guerra – quelle che il corpo mostra e quelle che restano invisibili. Ugualmente toccante il soldato serbo che, intervistato, confessa di non sapere perché combatte, augurandosi solo di tornare a casa.
L’utilizzo del monologo, del coro teatrale e del documentario – insieme a una scenografia essenziale ma d’impatto, e a costumi militari che dominano l’immaginario visivo – rende Brothers una vera e propria “opera frontale”. Non ci si può nascondere né distrarre: si è chiamati in causa, obbligati a sentire, a prendere posizione.
A guidare questa macchina scenica, Gian Paolo Mai – fondatore della Libera Film Academy – dimostra una chiara urgenza politica ed estetica. Accanto a lui, Riccardo De Felici, giovane attore romano di 31 anni, diplomato all’Accademia Internazionale di Teatro, si distingue per intensità e presenza scenica.
In definitiva, Brothers è uno spettacolo che lascia un segno. Non si limita a raccontare la guerra: la fa sentire, la fa vivere. E, come scrive Faruk Šehić, “la mia biografia è sangue e carne, non entertainment”. Il pubblico, uscendo dal teatro, non può che essere d’accordo.



Marco Zucchi